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lunedì 25 ottobre 2010

Chi ha ucciso Gesù Cristo?...1° parte...


Segnalazione e trascrizione a cura di Luciano Gallina
PREMESSA
Questo libretto, scritto ad appena due anni dall’apertura del Concilio Vaticano II (1962-1965), intendeva arginare quegli errori che già serpeggiavano in certi ambienti cattolici agli inizi degli anni ‘60, e che di lì a poco si sarebbero manifestati in tutta la loro virulenza con la promulgazione della Dichiarazione conciliare Nostra Ætate, riproponendo magistralmente l’autentica e plurisecolare dottrina cattolica a riguardo del delitto più importante e carico di conseguenze per la Storia dell’umanità. Poggiando sull’autorità della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa, di San Tommaso d’Aquino, e di molti esegeti, teologi e scrittori universalmente accettati e riconosciuti come colonne portanti del comune sentire cattolico, l’Autore dimostra in modo incontrovertibile sia la responsabilità ebraica nell’uccisione di Cristo, che la conseguente fine dell’Antica Alleanza. Ad appena quattro anni dalla stampa di questo libretto, uscito con l’Imprimatur di Mons. Carlo Livraghi, Vescovo di Frosinone, i vertici della Chiesa, cedendo alle pressioni del giudaismo internazionale (rappresentato principalmente dall’ebreo francese Jules Marx Isaac, il quale sosteneva la non-storicità dei Vangeli!) avrebbero approvato un documento ufficiale (e quindi facente parte del Magistero ordinario universale) che negava queste immutabili verità scagionando gli ebrei dal delitto di deicidio. Tale nuovissima dottrina, che non poggia né sulla Scrittura, né sulla Tradizione, è stata poi ripresa ed adottata anche dal recente Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato da Giovanni Paolo II, ed è divenuto uno dei punti fermi nel dialogo in atto tra i rappresentanti del Vaticano e quelli della Sinagoga. Facendo dire al Vangelo l’esatto contrario di ciò che esso più volte afferma, si sostiene che Gesù Cristo non sarebbe stato ucciso dagli ebrei (cfr. Nostra Ætate, § 4; Catechismo della Chiesa cattolica, § 598), ma che, in realtà, Egli sarebbe stato materialmente ucciso dai romani e dai nostri peccati. La lettura serena e pacata di questo opuscolo non può non convincere dell’assoluta falsità e gratuità di questa affermazione che scalza alla radice la stessa religione cattolica.

P. ISIDORO DA ALATRI o.f.m.
CHI HA UCCISO GESU’ CRISTO?
La responsabilità ebraica nella crocifissione del Signore
«Non dicano i giudei: «Non abbiamo ucciso Cristo»!
Sant’Agostino
(cfr. Enarratio in Psalm. 63)
Nihil obstat quominus imprimatur
__________
Romæ, die 29 decembris 1960
(Fr. Ioannes Baptista A. Farnese)
Minister Provincialis O. F. M. Cap.
Imprimatur
_______
Verulis, die 20 novembris 1961
+ Carolus Livraghi
Ep.us Verulan – Frusinaten

 

INTRODUZIONE

Il libro di Padre Isidoro da Alatri o.f.m. è uno dei più belli che siano stati scritti sulla questione del deicidio. Ha ricevuto l’Imprimatur del Vescovo di Frosinone nel 1961, ma purtroppo non è stato conosciuto come avrebbe meritato. La presente edizione cercherà di porre rimedio a tale inconveniente. Il libro è scritto con stile chiaro, accessibile a tutti e nello stesso tempo è preciso e profondo sia dal punto di vista esegetico che da quello teologico. Dalle sue pagine risulta provata in maniera inoppugnabile la responsabilità collettiva della religione giudaica post-biblica, del Sinedrio e del popolo che il Venerdì Santo gridò: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». L’autore ci informa che nel 1933 gli ebrei istituirono a Gerusalemme un tribunale ufficioso, affinché riprendesse in esame la sentenza del Sinedrio. Il verdetto fu che la sentenza del Venerdì Santo doveva essere ritrattata, perché l’innocenza dell’imputato era dimostrata. I giudei stessi imprecarono il castigo di Dio sopra sè stessi e sopra i loro figli. Il popolo ebraico con i suoi capi si è condannato da sè ed è stato, conseguentemente, abbandonato e ripudiato da Dio. Tuttavia, molti tra i giudei si pentirono e furono perdonati da Dio, mentre ancor oggi se i figli di tale popolo solidarizzano con i loro padri nel rifiuto e nella condanna di Gesù, attirano sul loro capo la condanna che Dio riserva ad ogni peccatore impenitente. La sentenza «il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli», non fu sentenza di Cristo o della Sua Chiesa, ma dei giudei, come fa notare Tertulliano. Il popolo (una volta) eletto, è stato riprovato e condannato da Dio, perché uccisore di Cristo. Il Regno muterà padrone e dagli ebrei sarà trasferito ai pagani; il popolo eletto diverrà riprovato e le nazioni abbandonate diverranno elette. La colpevolezza è maggiore nei capi, ma sussiste (benché diminuita) nel popolo che aveva vissuto con Gesù e ne aveva visto i miracoli. Se ignoranza vi fu, essa fu voluta e quindi colpevole. L’obiezione recente secondo cui Gesù è morto per i peccatori è confutata con molto buon senso: non si può affermare che tutti i peccatori abbiano ucciso Gesù di loro mano, lo abbiano condotto da Pilato e chiesto la Sua morte. Si può solo asserire che Gesù è morto per salvare tutti gli uomini, che sono causa finale e non efficiente della Sua morte in croce. Cristo perciò fu ucciso e tradito dai capi e dal popolo ebraico vivente all’epoca di Cristo e dai suoi discendenti che continuano a rifiutarLo e a volerne la morte in quanto bestemmiatore. Israele per aver rigettato Cristo veniva rigettato da Dio.

Dio non abbandona (riprova) se prima non è abbandonato, insegna la Chiesa! Oramai non è più il sangue o la razza di Abramo che forma il popolo eletto, ma è la fede in Cristo: «Se voi siete di Cristo, siete seme di Abramo» (Gal 3, 26-29). Con la morte di Gesù il popolo ebraico si scisse in due: un «resto» formato da coloro che credevano in Gesù e si dissociavano dalla Sua condanna, che fu il vero Israele spirituale; e gli altri (la maggior parte, purtroppo) che rifiutando Cristo rimasero l’Israele riprovato da Dio, ossia il giudaismo talmudico anticristiano. Bisogna però tenere per certo – contro l’antisemitismo biologico – che qualunque individuo, di qualsiasi razza, purché accetti Gesù come Dio, può entrare nel nuovo popolo eletto: la Chiesa, in cui «non vi è più giudeo ne greco» (San Paolo) ma solo la fede. La condanna dell’antisemitismo biologico va di pari passo con la condanna degli «Amici d’Israele», che per un falso ecumenismo si allontana dalla dottrina della Chiesa sulla responsabilità del giudaismo religione post-biblica nella morte di Gesù, tale associazione è perciò un vero «precursore» (riprovato dalla Chiesa di Cristo) di Nostra Ætate. Tuttavia, se la condanna accompagna il giudaismo lungo il corso della storia, un giorno cesserà; poiché l’indurimento di Israele ha un termine. è rivelato che il popolo ebraico si convertirà a Cristo e si pentirà del suo peccato e sarà accolto da Dio. Che questo libro possa illuminare le menti dei lettori in una questione così importante che è come il cuore della religione cristiana. Infatti, se Cristo è Dio, il giudaismo post-cristiano è una falsa religione; se invece l’Alleanza Antica non è stata mai revocata, significa che Gesù è un falso profeta (Absit!). Delle due una, entrambi non possono essere vere, per il principio di non contraddizione.

DICHIARAZIONE

Forse, sono troppo prolisse le citazioni di scrittori antichi e moderni; sicché non sempre si è ottenuta quella snellezza di stile che, giustamente, desidera chiunque legga. Tuttavia, ciò si rese necessario e se ve ne fosse bisogno, ne chiedo venia di fronte ai nuovissimi esegeti, che credono di poter imporre la propria opinione, trascurando, e talora opponendosi, al pensiero di esegeti insigni e, specialmente, dei Santi Padri, che rappresentano la Tradizione cristiana, come poneva in rilievo, anche recentemente, il monito del Sant’Ufficio, da noi riportato in Appendice .
RINGRAZIAMENTO

Nel dare alle stampe questo modesto lavoro, desidero ringraziare, come di fatto ringrazio quanti mi sono stati di aiuto nel prepararlo. In modo particolare, il mio ringraziamento si rivolge a Padre Filippo da Cagliari, Dottore in Teologia e Licenziato in Scienze Bibliche, il quale mi ha indicato Autori e Fonti, che sono stati decisivi nella ricerca delle prove sulla responsabilità ebraica nella morte di Cristo.


Padre Isidoro da Alatri o.f.m.
SCOPO DEL PRESENTE OPUSCOLO

Da qualche tempo, si vanno dicendo e scrivendo cose inesatte, equivoche ed infondate; anzi, addirittura opposte alle affermazioni del Vangelo e alla Tradizione del pensiero cristiano-cattolico intorno alla responsabilità che grava sopra i giudei, nel chiedere ed esigere, con insistenza e prepotenza inaudita, la morte di croce di Nostro Signore Gesù Cristo 1. È evidente che un tal modo di parlare e di scrivere, minimizzando il terrificante dramma della Passione e Morte di Cristo, non può non ingenerare confusione, errore e perplessità nella mente di coloro che ascoltano e leggono; specie se giovani e non ancora ben formati e consolidati alla scuola del pensiero cattolico, che trova il suo fondamento più saldo ed incrollabile, oltreché nella parola ispirata dei Libri Santi, in tutti i Padri e Maestri di esegesi biblica più illuminati e sicuri. Il presente opuscolo, pertanto, mira a ristabilire, e nel caso a ribadire, l’evangelica e storica verità intorno al delitto orrendo dei capi e del popolo ebraico nel giorno in cui, di fronte a Pilato, che si lava le mani e grida: «Io sono innocente del sangue di questo giusto: pensateci voi»; essi rispondono: «Il suo sangue ricada sopra noi e sopra i nostri figli» (Mt 27, 25). Mi dispiace se, scrivendo, dovrò oppormi al pensiero di altri, che pur stimo e penso che, soltanto in buona fede e con retta intenzione, abbiano potuto dire e pubblicare idee non conformi a quella verità, alla quale ciascuno deve rendere testimonianza e di cui tutti siamo servi. Mi rassicura tuttavia il pensiero che soprattutto in una questione tanto importante debba valere il motto: «Amicus Pilato, sed magis amica veritas». Il qual motto, è quasi superfluo rilevarlo, diviene imperativo divino quando si tratta di Cristo, la cui missione è essenzialmente missione di verità e di vita (Gv 18, 27). Tutto peraltro sia a gloria di Colui dinanzi al quale deve piegare il ginocchio il cielo, la terra e l’inferno (Fil 2, 9). Né posso pensare altrimenti, poiché chiunque parli e scriva da cristiano non può non farlo a maggior gloria di Nostro Signore Gesù Cristo: «Nel nome del Quale conviene che sia fatta e detta ogni cosa» (Col 3, 17), perché infine «non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’esser salvati» (At 4, 12), è con i sensi della pietà più viva, pertanto, che mi accingo a riproporre all’attenzione del mondo cristiano ed ebraico il dramma delle pene e della morte di Nostro Signore Gesù Cristo; onde vedere con chiarezza quale sia stata la responsabilità dei capi e del popolo ebraico, in simile circostanza. Unica preoccupazione in un problema così importante: non tradire, anzi dire tutta la verità.

Padre Isidoro da Alatri o.f.m.
PREGHIERA INTRODUTTIVA

Mio Gesù; mi è sembrato sempre tanto difficile scrivere degnamente di Voi, della Vostra vita, della Vostra dottrina e, particolarmente, del mistero della Vostra Incarnazione, dei Vostri dolori e della Vostra morte sulla Croce… Tutto in Voi è mistero ed alto mistero, nonostante la trasparenza della Vostra parola e del Vostro insegnamento, così aderente ai nostri veri bisogni di creature umane, «nate a formare l’angelica farfalla, che vola alla giustizia senza schermi» (Dante Alighieri). Questo, e soltanto questo, pertanto, è stato il motivo che in cinquanta anni di sacerdozio mi ha sconsigliato di usare la penna per illustrare almeno qualche lato della Vostra divina personalità, della Vostra vita e dei Vostri insegnamenti celesti. è vero che molte volte dalla cattedra e dall’altare ho parlato di Voi, come meglio ho saputo e potuto: è vero che, molte volte ho parlato del Vostro dolore e della Vostra morte, ed è vero anche che altre volte ho parlato del Vostro misterioso amore Eucaristico; è vero che in Voi ho sempre visto ed additato «l’unico Maestro necessario all’umanità», l’unico che porti un nome di «salvezza». Ma tutto questo così, di passaggio, e soltanto parlando o tracciando appunti e schemi di predicazione. Mai scrivendo qualche pagina, che dovesse avere l’onore della stampa, e che potesse rimanere, dopo la mia morte, a darVi qualche segno del mio amore, per glorificarVi tra gli uomini anche nel futuro. Sono passati così cinquant’anni. Ma ora, io stesso non posso rendermene conto interamente. Ora pare che la Vostra Provvidenza abbia disposto che io prendessi la mia povera penna, e scrivessi di Voi qualche cosa che avesse vita, anche dopo la mia vita di quaggiù. Ed io l’ho presa, questa umile penna, per scrivere il presente opuscolo, soltanto per amore di Voi e della verità, e Voi siete la Verità; per rimanere io stesso ed indicare agli altri la via, e Voi siete la Via; per attingere e portare alle anime la vita e Voi siete la Vita. Accogliete, perciò, il mio piccolo dono, qualunque esso sia: accoglietelo come segno di gratitudine e di ringraziamento nel cinquantesimo del mio sacerdozio, e perdonatemi tutte le negligenze e le colpe commesse in sì lungo tempo, e concedetemi, se a Voi piace, ancora qualche tempo, per glorificarVi e farVi amare sempre più dagli uomini, che, al pari di me, hanno bisogno soltanto di Voi per esser felici, quanto è possibile sulla terra, e per conquistare quella gioia perfetta nel cielo, «che solo amore e luce ha per confine».

Roma, 31 luglio 1961.

Padre Isidoro da Alatri o.f.m.
LA PAROLA AL VANGELO

Anzitutto, crediamo nostro dovere porre innanzi allo sguardo del lettore le pagine evangeliche in cui viene riferita la scena terrificante di cui ci dobbiamo occupare. Si tratta delle pagine più oscure ed orrende scritte dalla mano tremante degli Evangelisti. In esse, viene ricordata, con semplicità e sobrietà pari a verità, tutta la malignità e l’estrema empietà ebraica nel chiedere ed ottenere la morte di croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Per capirle però e comprenderne, per quanto è possibile, il tragico svolgimento, noi le riferiamo tutt’intere, quali sono narrate dalla penna dei quattro Evangelisti. E, a tale scopo, ci serviamo del Vangelo unificato e tradotto dai testi originali, a cura di Padre Pietro Vanetti s.j. (Editrice Missioni, Venezia 1958).
l Gesù davanti al Governatore

(Mt 27,11; Gv 18, 28-32)

«Condussero dunque Gesù dalla casa di Caifa al pretorio. Era mattino. E Gesù fu posto davanti al Governatore. Ma essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Allora Pilato uscì fuori verso di loro e disse: «Che accusa portate contro quest’uomo»? Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Disse dunque loro Pilato: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge». Gli risposero i giudei: «A noi non è lecito uccidere alcuno». Affinché si adempisse la parola di Gesù, quella che disse significando di qual morte stava per morire».

l Accuse del Sinedrio

(Lc 23, 2)

«E incominciarono ad accusarlo dicendo: «Trovammo costui a perturbare la nostra nazione ed impedire di dare tributi a Cesare, e a dire di essere lui il Cristo re».

l Interrogatorio segreto

(Mt 27, 11; Mc 15, 2; Lc 23, 3; Gv 18, 33-38)

«Pilato dunque entrò nuovamente nel pretorio e chiamò Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei giudei»? Gesù rispose: «Da te stesso tu dici questo o altri te l’hanno detto di me»? Rispose Pilato: «Sono forse io giudeo? La tua nazione e i pontefici ti consegnarono a me: che cosa hai fatto»? Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei sudditi avrebbero lottato perché non fossi consegnato ai giudei. Ora invece il mio regno non è di quaggiù». Pilato allora gli disse: «Dunque tu sei re»? Gesù rispose: «Tu dici che sono re! Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». Pilato gli dice: «Che cos’è la verità»?


l Nuove accuse del Sinedrio

(Mt 27, 12-13; Mc 15, 3-5; Lc 23, 4-7; Gv 18, 38)

«E detto questo; nuovamente uscì verso i giudei e disse ai pontefici e alle folle: «Io non trovo in lui nessuna colpa». E Gesù, quando fu accusato dai pontefici e dagli anziani in molte cose, non rispose nulla. Ma Pilato di nuovo lo interrogava: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano». Ma Gesù non gli rispose nulla affatto, nemmeno ad una parola, di modo che Pilato si meravigliò molto. Ma quelli insistevano dicendo: «Agita il popolo insegnando per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, fin qua». Avendo udito ciò Pilato domandò se l’uomo fosse galileo; e venuto a conoscenza che era della giurisdizione di Erode, lo rinviò ad Erode che era anche lui a Gerusalemme in quei giorni».


l Gesù di fronte ad erode

(Lc 23, 8-12)

«Erode al vedere Gesù si rallegrò molto. Da molto tempo infatti era desideroso di vederlo perché aveva udito di lui, e sperava vederlo compiere qualche prodigio. Lo interrogava perciò con molte parole, ma egli non gli rispose niente. E stavano lì i pontefici e gli scribi accusandolo con veemenza, ma Erode disprezzatolo con i suoi soldati e fattosene gioco dopo averlo vestito di una veste sgargiante lo rinviò a Pilato. In quello stesso giorno Erode e Pilato divennero amici, poiché prima erano nemici tra loro».

l «Dopo averlo castigato, quindi, lo lascerò libero»

(Lc 23, 13-16)

«Pilato allora, convocati i pontefici e i capi e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come un sovvertitore del popolo; ed ecco, dopo averlo esaminato alla vostra presenza, non no trovato nulla di colpevole in quest’uomo di quanto l’accusate. Anzi neppure Erode; lo rinviò infatti a noi. Ecco dunque egli non ha commesso nulla degno di morte. Dopo averlo castigato, quindi, lo lascerò libero».


l Gesù o Barabba?

(Mt 27, 15-18; Mc 15, 6-10; Lc 23, 17; Gv 18 ,39-40)

«Il Governatore era solito, in ciascuna festa di Pasqua, liberare alla folla un carcerato, quello che volevano. C’era allora un carcerato famoso, chiamato Barabba. Era il detto Barabba incarcerato fra i rivoltosi che nella rivolta avevano commesso omicidio. E la folla salì e cominciò a chiedere a Pilato quello che sempre faceva con loro. Radunatisi, dunque, disse loro Pilato: «è consuetudine per voi che vi liberi uno per la Pasqua. Chi volete che vi liberi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo»? Sapeva infatti che per invidia lo avevano consegnato».


l La moglie di Pilato

(Mt 27, 15)

«Sedendo poi Pilato al banco del tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Nulla (ci sia) fra te e quel giusto; molto infatti ho sofferto oggi in sogno per causa sua».


l Barabba liberato

(Mt 27, 20-25; Mc 15, 11-15; Lc 23, 18; 23, 20-25; Gv 18 ,40)

«Ma i pontefici e gli anziani persuasero le folle a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Prendendo dunque la parola il Governatore disse loro: «Chi dei due volete che vi liberi»? Gridarono tutti insieme dicendo: «Togli via costui, e liberaci Barabba». Ma di nuovo Pilato gridò loro volendo liberare Gesù: «Che debbo fare di quello che chiamate il re dei giudei»? Ma quelli tutti di nuovo gridavano dicendo: «Crocifiggilo»! Ma egli per la terza volta disse loro: «Ma che fece di male costui»? Non ho trovato in lui niente che meriti la morte. Dopo averlo castigato dunque, lo lascerò libero». Ma quelli sempre più insistevano con alte grida, chiedendo che fosse crocifisso, e le loro grida si rinforzavano. Perciò Pilato volendo soddisfare il popolo, deliberò che fosse fatto ciò che chiedevano. Rilasciò colui che per sedizione e omicidio era in carcere: quel Barabba che essi chiedevano».


l Gesù flagellato ed incoronato di spine


(Mt 27, 27-30; Mc 15, 16-19; Gv 19, 13)

«Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare. I soldati condussero Gesù dentro nel cortile, cioè nel pretorio, e convocarono attorno a lui tutta la coorte composta di circa 500 soldati. E spogliatolo, gli misero addosso una clamide scarlatta; e intrecciata una corona di spine, la posero sul suo capo, e posero una canna nella sua destra. Poi venivano a lui e piegando il ginocchio davanti a lui, lo schernivano e cominciarono a salutarlo dicendo: «Ave, re dei giudei», e gli davano schiaffi. E dopo avergli sputato addosso, presero la canna e con quella lo percuotevano sul capo».






l «Ecco l’uomo»!

(Gv 19, 4-7)

«Pilato uscì di nuovo fuori e disse loro: «Ecco, ve lo conduco fuori, affinché conosciate che non trovo in lui nessuno colpa». Uscì fuori dunque Gesù portando la corona di spine e la veste purpurea. E Pilato dice loro: «Ecco l’uomo»! Ma quando lo videro, i pontefici e le guardie gridarono dicendo: «Crocifiggilo, crocifiggilo»! Dice loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io infatti non trovo in lui colpa». I giudei gli risposero: «Noi abbiamo una legge e secondo la legge deve morire, perché si fece Figlio di Dio».


l Il maggiore peccato

(Gv 19, 8-11)

«Quando Pilato udì questo discorso, s’impaurì di più; ed entrò di nuovo nel Pretorio, e disse a Gesù: «Da dove vieni»? Ma Gesù non gli diede risposta. Gli dice allora Pilato: «Con me non parli? Non sai che ho potere di liberarti e ho potere di crocifiggerti»? Rispose Gesù: «Non avresti nessun potere contro di me se non ti fosse stato dato dall’alto; perciò chi mi ha consegnato a te, ha maggiore peccato».

l Ultimi tentativi del Governatore

(Gv 19, 12-15)

«Dopo questo, Pilato cercava di liberarlo. Ma i giudei gridarono dicendo: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa re, contraddice a Cesare». Pilato, dunque, udite queste parole, condusse fuori Gesù e sedette in tribunale in un luogo detto Lastricato, in ebraico Gabbata. Era la preparazione della Pasqua, verso l’ora sesta; e dice ai giudei: «Ecco il vostro re»! E quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo»! Pilato dice loro: «Crocifiggerò ii vostro re»? Risposero i pontefici : «Non abbiamo altro re che Cesare».

l La sentenza

(Mt 27, 24-26; Mc 15, 15; Lc 23, 25; Gv 19,16-17)

«Ora Pilato, vedendo che non otteneva nulla, anzi che il tumulto si faceva maggiore prendendo dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Sono innocente del sangue di questo giusto. Pensateci voi»! E rispondendo tutto i popolo disse: «Il suo sangue ricada sopra noi e sopra i nostri figli». Allora finalmente consegnò loro Gesù perché fosse crocifisso. E l’abbandonò in loro balia. Presero essi dunque Gesù».

RILIEVI E CONSTATAZIONI

I primi rilievi e le prime constatazioni che si presentano a chiunque abbia letto le pagine evangeliche surriferite sono: 1) la pretesa degli ebrei, per cui il solo fatto di avere condotto Gesù davanti al Governatore romano, questi debba senz’altro ritenerlo malfattore degno di morte. Alla richiesta infatti, di Pilato: «Che accusa portate contro quest’uomo»? Essi rispondono seccamente: «Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo consegnato…»; 2) Dopo alcune accuse dei giudei, Pilato che ha interrogato Gesù, ed ha esaminato le accuse, esce verso i giudei e proclama una prima volta innocente Gesù dinanzi ai pontefici e alle folle (si ponga bene attenzione a questa parola: «dinanzi ai pontefici e alle folle») dicendo: «Io non trovo in lui alcuna colpa». Ma poiché gli ebrei insistono dicendo che agita il popolo, insegnando per tutta la Giudea, come se insegnare sia lo stesso che delinquere; Pilato: 3) manda Gesù ad Erode il quale, pago di disprezzarlo con i suoi soldati, non osa condannarlo o e lo rinvia a Pilato, dichiarandolo, sia pure implicitamente, non degno di morte. 4) Pilato, allora, dopo averlo interrogato ed avere esaminate le nuove accuse fatte dai giudei dichiara innocente Gesù una seconda volta, dinanzi ai capi e al popolo dicendo nuovamente: «Mi avete portato quest’uomo come un sovvertitore del popolo; ed ecco, dopo averlo esaminato alla vostra presenza, non ho trovato nulla di colpevole in quest‘uomo, di quanto l’accusate. Anzi neppure Erode; lo rinviò, infatti, a noi. Ecco, dunque, egli non ha commesso nulla degno di morte». 5) Pilato, quindi, dichiara, quantunque implicitamente, una terza volta innocente Gesù; dopo averlo presentato al popolo insieme con Barabba, dicendo: «Chi volete che vi liberi: Barabba o Gesù chiamato Cristo»? Sapeva infatti, dice il Vangelo, che per invidia lo avevano consegnato. 6) Gesù è ritenuto innocente anche dalla moglie di Pilato, la quale manda a dire al giudice romano: «Nulla (ci sia) fra te e quel giusto». 7) Pilato dichiara nuovamente innocente Gesù. Ed infatti, dopo che gli ebrei hanno chiesto la vita di Barabba, e la morte di Gesù, il Governatore romano replica: «Ma che fece di male costui? Non ho trovato in lui niente che meriti la morte». 8) Dopo gli scherni, i flagelli, gli schiaffi e gli sputi, da parte dei soldati, ecco di nuovo Pilato a dichiarare, per la quinta volta, innocente Gesù: «Pilato – continua a narrare il Vangelo – uscì di nuovo fuori e disse loro: «Ecco ve lo conduco fuori, affinché conosciate che non trovo in lui colpa alcuna…». I pontefici insolentiscono maggiormente dicendo: «Crocifiggilo»!, e Pilato, per la sesta volta: «Io non trovo in lui colpa…». Ma i giudei, con empietà inaudita e insolenza sbalorditiva, esclamano: «Noi abbiamo una legge e secondo la legge deve morire, perché si fece Figlio di Dio». Pilato, a questo punto e di fronte a tale affermazione, s’impaurisce e torna ad esaminare l’imbarazzante e pesante questione. Ma, non trovando colpa, neppure questa volta, in Gesù, pensa di prendere i giudei dalla parte del cuore, dicendo: «Ecco il vostro re»! Ma quelli gridano più ostinatamente ancora: «Via via, crocifiggilo»! Dice dunque Pilato: «Crocifiggerò il vostro re»? Risposero i Pontefici: «Non abbiamo altro re che Cesare…». 8) Di fronte a tanta e così empia ostinazione, Pilato, nonostante che avesse proclamato innocente Gesù, per ben sei volte, vedendo che non otteneva nulla, anzi che il tumulto si faceva maggiore, prendendo dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla dicendo: «Io sono innocente del sangue di questo giusto: pensateci voi»! Ma chi non vede che anche questo modo di agire e di dire di Pilato non è altro che una nuova proclamazione dell’innocenza di Gesù? Ed è proprio a quest’ultima proclamazione d’innocenza del dolcissimo Salvatore del mondo che tutto il popolo risponde: «Il suo sangue ricada sopra noi e sopra i nostri figli»!

 Valore e conseguenza di questa frase

Questa frase pronunciata in simile circostanza, e dopo quasi un’intera giornata di lotta tra il giudice Pilato, che proclama Gesù innocente, e gli anziani e il popolo ebraico, che lo vogliono ad ogni costo crocifisso, ha fatto credere a qualcuno che la richiesta non venne dal popolo intero di Gerusalemme, ma appena da «qualche centinaio di persone» ivi presenti, non qualificate e di poca o nessuna autorità. Anzitutto: ma chi ha detto e può affermare che si tratti di «qualche centinaio di persone»? Quando la Scrittura vuole indicare poche persone, lo dice esplicitamente (vedi ad esempio At, 1, 15). Infatti: 1) Il Vangelo parla più volte di folla e di folle; e folla e folle non può dirsi mai che sia sinonimo di «qualche centinaio di persone». 2) Dallo stesso Vangelo apprendiamo che la folla, ossia la moltitudine, era tale da far temere a Pilato un grosso tumulto e una vera sedizione; il quale, proprio perché non otteneva nulla, anzi il tumulto si faceva maggiore, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla. Si rifletta bene: davanti alla folla, e cioè davanti ad una massa di popolo. Per cui, preso da timore e per non essere travolto dalla medesima, nonostante che avesse ai suoi ordini circa 500 soldati 2, si lavò le mani e disse: «Sono innocente del sangue di questo giusto. Pensateci voi»! 3) Che sia stata una moltitudine, una folla imponente e non «qualche centinaio di persone» è anche evidente per chi consideri che si trattava di un giorno vicino alla Pasqua, giorno in cui a Gerusalemme conveniva gente da ogni parte così da considerarsi una vera fiumana di popolo quella che ivi si adunava: come anche per chi consideri che la cattura di Gesù, pochi giorni prima acclamato dal popolo e da numerosi fanciulli, non poteva non aver destato curiosità e meraviglia in tutto il popolo di Gerusalemme. Noi, pertanto, sottoscriviamo ben volentieri ciò che rileva con alto senso di esegeta, il noto Padre Joseph Marie Lagrange o.p. (1855-1938), nel suo volume intitolato L’Evangelo di Gesù Cristo: «Pilato comprese, di fronte all’esclamazione di tutto il popolo, che tutto era finito e che non riusciva a nulla – dice San Matteo – tanto più che il tumulto andava sempre più aumentando e veniva assumendo l’aspetto di una vera sedizione popolare. Fattosi allora portare dell’acqua si lavò le mani alla presenza del popolo, gesto di cui gli ebrei avrebbero compreso assai bene il senso ancorché egli non l’avesse commentato (vedi Dt 21, 6 e ss.): «Io sono innocente di questo sangue; a voi la responsabilità» 3. Di questo parere, del resto, sono altri illustri esegeti che hanno annotato e spiegato il passo che ci interessa. Tra i quali, non possiamo non porre il noto scrittore Igino Giordani, il quale, quantunque di passaggio, ritiene che «una massa stipava la piazza del Pretorio a Gerusalemme e coronava il cocuzzolo del Golgotha durante la crocifissione» 4. Padre Gaetano Maria da Bergamo o.f.m. (1672-1753), nella meditazione nº 207 della sua ben nota opera Pensieri ed affetti sopra la Passione di Gesù Cristo, appoggiato all’autorità di San Bonaventura (1217 ca-1247), scrive che le strade di Gerusalemme erano tutte piene di gente per la «novità dell’avvenimento». Perfino Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) scrive: «La morte di Socrate, avvenuta mentre egli filosofava amabilmente con i suoi discepoli, è la più dolce che si possa desiderare; quella di Gesù, che spirò nei tormenti, ingiuriato deriso maledetto da un popolo intero, è la più spaventevole cosa che si possa temere»! (cfr. J.-J. Rousseau, Emil; in Oeuvres, tomo II, Parigi l905, pag. 280). Ma si dirà: come poteva tanto popolo essere contenuto nello spazio antistante al pretorio? Poiché noi crediamo al Vangelo, il quale parla di «folla» e di «folle» prima di accordare il nostro assenso a Padre Giovanni Caprile s.j. e ad altri pochi, lo accordiamo piuttosto a Padre Vincent, uno dei più grandi archeologi in materia di studi palestinesi, il quale non ha lo scrupolo del Caprile e pensa facilmente al popolo ammassato sotto le volte della grande porta occidentale e all’installazione provvisoria della sedia curule nel cortile dell’Antonia dirimpetto alla folla, mentre qualche altro archeologo pensa che Pilato avrà potuto facilmente farsi ascoltare dalla folla da qualche balconata della terrazza occidentale del cortile (cfr. J. Stackys, Lithòstroton, in DBS, s. v.). Se il pretorio è da identificarsi come sembra con l’Antonia, il cui cortile era il lastricato (il «lithostroton» di San Giovanni) messo in luce dai recenti scavi e che sovrastava il Tempio, il fatto evangelico può essere benissimo illustrato e confermato dall’episodio accaduto a San Paolo, alcuni decenni dopo, e riportato accuratamente in At 21, 30 e ss.; 22, 1-25. Del resto, è buona regola di esegesi: prima «cogliere il fatto»; quindi tentarne la spiegazione, con le ipotesi più plausibili. Il fatto è questo: «Tutto il popolo disse: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Ora, prima di Caprile e compagni, per quanto ci risulta, nessuno scrisse che l’Evangelista, dicendo «tutto il popolo», volesse indicare soltanto qualche centinaio di persone.

FOLLA QUALIFICATA

Ma si dice: si tratta di folla senza nome e di nessuna autorità; quindi, non poteva rappresentare la città di Gerusalemme. Questa sì che è una affermazione gratuita, come dicono i filosofi. E perciò si nega senz’altro e con argomento che si impone a chiunque voglia seriamente trovare e rimanere nella verità. Scrive infatti l’eminente esegeta e storico della vita di Gesù Cristo, l’Abate Giuseppe Ricciotti (1890-1964): «Questo augurio o voto che fosse («Il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli…») invita ad una breve ed elementare riflessione che del resto non è estranea al processo di Gesù. L’augurio fu espresso concordemente sia dalle guide spirituali del giudaismo, sia da una larga rappresentanza del popolo di Gerusalemme; era dunque veramente una rappresentativa vox populi, un voto strettamente ufficiale, che riassumeva i desideri sia del capo che delle membra, sia del Sinedrio che del popolo. L’augurio o voto fu indirizzato certamente non al procuratore romano, ma ad un Giudice ben più alto? Ossia a quel Giudice tante volte invocato nelle Sacre Scritture d’Israele, il quale solo poteva far sì che quel discusso sangue ricadesse anche sulle teste dei lontani figli. Solo quel sovreminente Giudice poteva mutare la vox populi in vox Dei, accogliendo quel voto e mostrandolo avverato nella Storia. Ora, se tutto ciò sia veramente avvenuto, lo storico odierno riscontrerà per conto suo, rivolgendosi appunto alla Storia, e non soltanto a quella antica, ma anche a quella odierna. E ciò anche perché ai nostri giorni la questione è stata ripresa, e precisamente da quei figli di cui parla il voto. Non esistendo più oggi il Sinedrio che 19 secoli fa condannò Gesù ed espresse il voto che il suo sangue ricadesse sui più lontani figli d’Israele, questi figli nel 1933 istituirono a Gerusalemme un tribunale ufficioso, composto di cinque insigni israeliti, affinché riprendesse in esame l’antica sentenza del Sinedrio. Il verdetto pronunciato da questo tribunale, con 4 voti favorevoli e uno contrario, fu che l’antica sentenza del Sinedrio doveva essere ritrattata, perché l’innocenza dell‘imputato era dimostrata, la sua condanna era stata uno dei più terribili errori che gli uomini hanno commesso, riparando il quale la razza ebraica ne sarebbe onorata» 5. Si può quindi affermare con il dotto esegeta Lagrange: «Il popolo intero gridò: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»! Israele aveva rigettato il suo Messia, l’aveva dato in balia dei gentili e, per quanto fiero di non ubbidire che a Dio, aveva preferito al Suo paterno dominio il giogo di Cesare. Così pronunciava la propria condanna in quel giorno che era la preparazione alla Pasqua. Erano sei ore circa dopo la levata del sole, cioè dodici ore o mezzogiorno» 6. Alcuni credono di infirmare, o per lo meno di attenuare il valore e le conseguenze della frase che egli chiama incriminata, mentre noi vorremmo chiamare piuttosto criminale stando che quella espressione, in fin dei conti, la riporta soltanto in Mt 27, 25 (vedi a questo proposito Palestra del Clero, nº 39, 1960, pag. 963). Ora, se ciò da una parte è vero, dall’altra è totalmente falso, e mi spiego. è vero che la suddetta frase si trova soltanto in Matteo; ma non è vero che soltanto Matteo parla di «tutto un popolo», di folla, di moltitudine, di sedizione e di tumulto, che fa temere e tremare Pilato. Su ciò, al contrario, sono concordi tutti e tre i Sinottici, come ciascuno può rendersene certo consultandoli. E allora, se tutti e tre i Sinottici (San Matteo, San Marco e San Luca) ci dicono che ivi furoreggiava e tumultuava una folla, una moltitudine, minacciosa e capace di travolgere Pilato con le forze armate poste a sua disposizione (almeno 500-600 soldati), come si può credere che quella folla, quella moltitudine, minacciosa e minacciante, non fosse rappresentata che da qualche centinaio di persone? Sono cose che non crederebbe neppure un bambino (che legga il Vangelo, s’intende), non dico un esegeta, che studi e comprenda, e sia perciò maestro dello stesso Vangelo… Si leggano infatti, senza pregiudizi, specialmente il capitolo 15 di San Marco, il 23 di San Luca, e il 25 di San Matteo. Sono sicuro che a nessuno, dopo averli letti e compresi seriamente, passerà per il cervello l’idea che si tratti dei clamori di poca gente. Molto meno che si tratti, come scrive il Caprile in Palestra del Clero, di appena un qualche numero di servi e di familiari dei caporioni del Sinedrio locale… Per dir ciò – mi si permetta di esprimere tutto il mio pensiero – bisogna credere non a quello che narra il Vangelo, ma a quello che hanno osato scrivere alcuni apologisti della razza ebraica, non tenendo conto né del Vangelo stesso, né della Storia a tutti nota. Iosef Schmid, perciò, con finezza di esegeta, fa la seguente considerazione: «Gli ebrei (l’espressione «tutto il popolo», «tutta la nazione» qui rappresentata dai membri del Gran Consiglio e dalla folla presente è scelta intenzionalmente dall`Evangelista) dichiarano quindi solennemente di assumere su di sè e sui loro successori la responsabilità del sangue, della morte di Gesù (per l`espressione, vedi 2 Re 1, 16; 3, 29;

14, 9; 3 Rg 2, 33; Ger 51 (28), 35; At 18, 6). Così, il popolo ebraico si è maledetto da sé; è infatti il sangue del suo Messia quello di cui esso si assume la responsabilità. Voi avete disprezzato la protezione di Dio. La punizione che colpirà gli abitanti di Gerusalemme per il loro ostinato rifiuto dell’amore divino consisterà nel fatto che la loro casa, ossia la loro città (non il Tempio) sarà da Dio abbandonata a sè stessa. Dio si ritrae da loro. Gesù dice solo che la città sarà abbandonata da Dio – il cui nome viene parafrasato nel passivo – e non anche dai suoi abitanti. La distruzione del Tempio e della città renderà anche esteriormente evidente che essa è stata abbandonata e ripudiata da Dio» 7.


«IL SUO SANGUE RICADA SU DI NOI E SUI NOSTRI FIGLI»


(Mt 27,25)

Nonostante queste esplicite testimonianze di uomini dotti e di esegeti esperti, non manca chi ancora vorrebbe ritenere che il grido ebraico surriferito non abbia avuto seguito o effetto alcuno. Ma noi ripetiamo che ci pare più serena ed equilibrata la risposta già data da Giuseppe Ricciotti, e ci pare anche sempre più sereno ed equilibrato il giudizio che della medesima ha dato il Lagrange, di cui pure abbiamo fatto cenno. Ai quali giudizi, se non dispiace, aggiungiamo quello di Mons. Emile Paul Le Camus (1839-1906): «Stupefatto e turbato, il Governatore Pilato, quasi non credesse ai propri occhi, rivolse una seconda volta alla folla la domanda a cui essa già aveva risposto con tanto furore: «Che volete dunque che io faccia del re dei giudei, soprannominato il Cristo»? E tutti a una voce: «Alla croce, crocifiggilo»! La politica di Pilato naufragava. Non osando imporre la sua volontà subì quella del popolo da lui consultato. Nondimeno, l’iniquità che gli si chiedeva era così aperta e ributtante, che si sentì in obbligo di resistere ancora: ma, purtroppo, non lo farà che con una viltà sempre più crescente. Spettacolo strano ! Un pagano difende il Messia contro gli ebrei che lo insultano e l’uccidono! Allora, per la terza volta, riprendendo la causa di Gesù, Pilato domandò: «Ma quale male ha fatto? Io non trovo nulla in Lui che sia degno di morte. Lo farò castigare e lo lascerò libero». E tornava così al secondo espediente, menzionato più sopra, ma non ancora posto in esecuzione. La moltitudine già ebbra per l’odore del sangue, vedendo che il Governatore cedeva, si fece ognora più insistente e terribile nel gridare: «La croce! La croce»! A questa recrudescenza di furore, e alle crescenti indecisioni, Pilato comprese che era perduto. Da quel momento, e con tal vicenda di esitazioni e di tentativi che agli Evangelisti sarebbe stato impossibile inventare, la sua anima divenne il teatro di una lotta accanita tra le sue convinzioni e il suo interesse. Domandò dell’acqua, e, lavandosi le mani innanzi al popolo, disse: «Io sono innocente del sangue di questo giusto: esso è affar vostro». A rendere più intelligibili al popolo i veri sentimenti del suo cuore e rigettare ogni solidarietà in tale delitto, Pilato ricorreva ad un segno simbolico, che ognuno doveva comprendere perfettamente, perché era in uso presso gli ebrei (vedi Dt 21, 6). Dal canto suo, la moltitudine, rivendicando per sé nel suo odio cieco la responsabilità declinata dalromano, gridava: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!» è inutile dire – soggiunge l’eminente scrittore – come la sacrilega bravata sia stata intesa ed esaudita da Dio. Il sangue del giusto pesa ancora sui figli dei colpevoli senza che né il tempo, né la moderna civiltà, né lo scetticismo universale abbia potuto toglierne l’indelebile traccia. Con tutte le sue ricchezze, il suo spirito mercantile, la sua energia vigorosa e instancabile, questo popolo, che è sparso ovunque senza regnare in nessuna parte, che possiede ormai tutto l’oro del mondo e non può comperarsi una patria, vive, passa e muore disprezzato, maltrattato, maledetto, come se ancora sulla sua fronte si leggesse scritta in lettere di sangue, quale ragione della sua sventura, la parola «deicidio» 8. A tutto quello che abbiamo detto sulla scorta di scrittori ineccepibili e di autorità pressoché universale, si potrebbe aggiungere ciò che scrive Giovanni Papini (1881-1956) a proposito de «L’ebreo errante». Amiamo invece rimandare il lettore all’opera dello scrittore fiorentino, poiché qui meglio che altrove, apprenderà, come la sventura del popolo ebraico sia veramente l‘effetto della ferocia che esso compì contro il suo Messia, chiedendone la morte di croce 9. Del medesimo parere del resto è l’autorevole esegeta Padre Giacomo Maria Vostè o.p. (1883-1949), già Consultore e Segretario della Pontificia Commissione Biblica. Ecco le sue parole: «Gli ebrei, davvero accecati, chiedono per sè e per i loro posteri le conseguenze giuridiche dell’uccisione del Messia, che pertanto è un delitto del popolo messianico d’Israele. E tutto il popolo disse: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli», che è come dire: «La responsabilità cada su tutta la nazione». Come questa tremenda imprecazione si sia adempiuta e si adempia lo sanno tutti, e lo testimonia il giudeo errante, senza altare, senza templi, in odio ed infamia di tutti, segnato in fronte della maledizione di Caino. «Questa imprecazione sugli ebrei perdura tutt’oggi ed il sangue del Signore grava ancora su di essi» (San Girolamo) 10. Infine, Padre Alfredo Durand s.j. (1858-1928), un altro esegeta, scrive: «E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli». Sappiamo come Dio abbia raccolto questa sacrilega sfida. La leggenda dell’ebreo errante non è che una espressione simbolica della Storia. Come Caino, Aasvero porta in fronte una macchia di sangue che non è ancora riuscito a cancellare» 11. E Otto Hophan annota: «Allora tutto il popolo gridò: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». E avvennero tutte e due le cose: il sangue del Giusto fu sparso per la nostra salute; ma esso discese paurosamente anche a punizione sul popolo ebraico e sui figli suoi lungo tutti i secoli, sino ai nostri giorni» 12.

«E quel sangue, dai padri imprecato,

sulla misera prole ancor cade.

Che, mutata d’etade in etade,

scosso ancor dal suo capo non l’ha».

(A. Manzoni)
Continua...

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