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mercoledì 23 marzo 2011

I MONACI DI TIBHIRINE Dalla “propaganda fide” all'apostasia ecumenica...

Se il prete si confonde coi mondani

Guai se il sacerdote, dimentico di sì divine promesse, cominciasse a mostrarsi "avido di turpe lucro" e si confondesse con la turba dei mondani, su cui geme la Chiesa insieme con l'Apostolo: "Tutti pensano alle cose loro, non a quelle di Gesù Cristo". In tal caso, oltre il mancare alla sua vocazione, raccoglierebbe il disprezzo del suo stesso popolo, il quale riscontrerebbe in lui una deplorevole contraddizione tra la sua condotta e la dottrina evangelica così chiaramente espressa da Gesù e che il sacerdote deve annunziare: "Non cercate di accumulare tesori sopra la terra, dove la ruggine e il tarlo li consumano e dove i ladri li dissotterrano e li rubano; procurate invece di accumulare tesori nel cielo". Se si pensa che uno degli Apostoli di Cristo, uno dei Dodici, come mestamente notano gli Evangelisti, Giuda, fu condotto all'abisso dell'iniquità appunto dallo spirito di cupidigia delle cose terrene, ben si comprende come questo medesimo spirito abbia potuto arrecare tanti danni alla Chiesa attraverso i secoli: la cupidigia, che dallo Spirito Santo è detta "radice di tutti i mali", può trascinare a qualunque delitto; e quando anche non arrivi a tanto, di fatto un sacerdote infetto da tale vizio, consciamente o inconsciamente fa causa comune coi nemici di Dio e della Chiesa e coopera ai loro iniqui disegni.

E invece il sincero disinteresse concilia al sacerdote gli animi di tutti, tanto più che con questo distacco dai beni terreni, quando viene dall'intima forza della fede, va sempre congiunta quella tenera compassione verso ogni sorta d'infelici, che trasforma il sacerdote in un vero padre dei poveri, nei quali egli, memore di quelle commoventi parole del suo Signore: "Ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatta a me", con affetto singolare vede, venera e ama Gesù Cristo stesso.
[ Brano tratto dall'Enciclica “Ad catholici sacerdotii”, di Papa Pio XI ]

Fonte: Unavox

Ultimamente è stato presentato nelle sale cinematografiche un film, “Uomini di Dio”, che narra la tragica vicenda di sette monaci cattolici uccisi in Algeria nel 1996. Il film ha goduto di ottime credenziali cinematografiche: il gran premio della giuria al Festival di Cannes del 2010, ed è stato accompagnato da recensioni e critiche elogiative, sia per l’interpretazione sia per il messaggio che trasmette.



Si vedono scene relative alla vita quotidiana di un convento che spaziano dalla preghiera e dal lavoro quotidiano all’aiuto ai bisognosi, fino al tragico epilogo, controverso nelle letture e nelle interpretazioni postume. Il tutto inserito in un contesto islamico contrassegnato dalla guerra civile tra gruppi che si contendono il potere da posizioni divergenti: accordo con l’Occidente o contrasto con l’Occidente. I monaci si trovarono a dover convivere con questo conflitto interno all’Algeria, fortemente influenzato dalle preferenze dell’Occidente. Per molti una sorta di indebita ingerenza straniera nelle scelte interne del paese, per tanti altri un bene per la sua crescita democratica. Da un lato i monaci venivano guardati come degli stranieri figli di quell’Occidente incombente, dall’altro come un punto di riferimento neutrale utile per prestare aiuto a chi ne avesse bisogno. In un contesto del genere poteva accadere di tutto, come effettivamente è accaduto in seno alla popolazione: quasi duecentomila persone persero la vita. I monaci risiedevano nel monastero di Nostra Signora dell’Atlante, nella località di Tibhirine, prossima alla città di Medea, a sud di Algeri. Il monastero, fondato nel 1938, svolgeva, ovviamente, una funzione missionaria, volta a portare in quelle terre il messaggio evangelico, secondo il comando del Signore Gesù. Utile ricordare che nella missione cattolica non è obbligatoria la conversione, ma la predicazione, perché tutti gli uomini conoscano il messaggio di salvezza portato in terra dal Figlio di Dio… poi ogni uomo deciderà se credere, e salvarsi, o non credere, e dannarsi. I missionari cattolici, nel predicare, praticano anche le opere di misericordia spirituale e corporale, aiutando coloro con cui stabiliscono un rapporto, sia nei loro bisogni spirituali, sia nei loro bisogni corporali. A quindici anni distanza da quell’evento, con l’uscita del film, si è riacceso un certo interesse e in molti ne hanno parlato. Tra questi, il quotidiano della Cei, Avvenire, nell’edizione del 27 febbraio scorso, nelle pagine di Agorà (pp. 18 e 19), che riportano un’intervista al frate Jean-Pierre Schumacher, uno dei due scampati all’eccidio. In essa si trovano alcuni interessanti elementi relativi all’azione missionaria svolta dai monaci di Tibherine. Dato l’interesse che riveste la questione della moderna missione ci siamo soffermati su queste dichiarazioni e abbiamo pensato fosse utile rifletterci sopra. La vita monastica era diretta dal Priore Christian de Chergé, di cui - dice il frate – «Si vede il pastore e la sua attenzione nell’aprirsi a Dio, per lasciarsi lavorare da Dio e avere la giusta reazione davanti ai confratelli». Così che «si vede quest’apertura a Dio, lo si interroga, ci si lascia influenzare da Lui. È monastico!» Come si svolgeva questo lavoro monastico? Dice il frate: «Con lui c’è stata un’evoluzione verso l’islamologia. Lui ha studiato molto il Corano. La mattina teneva la lectio divina con una Bibbia in arabo. Talvolta faceva la meditazione con il Corano. Cercava di farci crescere. Avevamo rapporti con l’islam, ma non a livello intellettuale. Lui conosceva molto bene l’ambiente musulmano e la spiritualità sufi. Alcuni monaci ritenevano che la comunità dovesse restare in equilibrio e che non tutto dovesse essere orientato dall’islam. Questo causò delle frizioni. Le tensioni finirono per essere superate grazie alla creazione di un gruppo di scambio e di condivisione con musulmani sufi, che avevamo chiamato "ribat", con termine arabo. Avevamo capito che la discussione sui dogmi divideva, poiché era impossibile. Allora si parlava del cammino verso Dio. Si pregava in silenzio, ciascuno secondo la propria preghiera. Quegli incontri biennali si sono interrotti nel 1993, quando cominciò a diventare pericoloso. Ma la conoscenza reciproca ha fatto di noi dei veri fratelli, nel profondo» Come è del tutto evidente, frate Jean-Pierre ci presenta succintamente un vero e proprio trattato di missione moderna, dove non c’è spazio per l’antica “propaganda fide”, e dove risaltano alcuni elementi che fanno capire come i missionari cattolici moderni mettono da parte i dogmi cristiani, stabiliscono “gruppi di scambio e di condivisione” e finiscono con l’essere informati dalle credenze non cattoliche al punto da ritenere cosa buona e giusta condursi a Dio per vie parallele: la via di Cristo e la via dell’Anticristo. Il tutto è pervaso da un afflato sentimentale che può anche ingannare il lettore ormai assuefatto alla mielata vulgata moderna circa la fratellanza di tutti gli uomini, ma si rimane sconcertati dall’ammissione che questi monaci, nel corso della liturgia delle ore leggessero e meditassero il Corano. Cosa avranno meditato costoro, se non la sacrosanta ambivalenza tra il Vangelo di Cristo, il Figlio di Dio, e l’ispirazione privata di Abū l-Qāsim Muḥammad ibn ʿAbd Allāh ibn ʿAbd al-Muţţalīb al-Hāshimī (ﺍﺑﻮ ﺍﻟﻘﺎﺳﻢ محمد بن عبد الله بن عبد ﺍﻟﻤﻄﻠﺐ ﺍﻟﻬﺎﺷﻤﻲ), noto come Maometto? Esplicativo il richiamo ai sufi. Per chi conosca anche solo un po’ la “spiritualità sufi” di cui parla frate Jean-Pierre è d’obbligo ammettere che si tratta di una forte tensione al divino, esattamente la stessa tensione che si può cogliere nelle meditazioni taoiste o brahmaniche, ma è altrettanto noto che Nostro Signore è venuto proprio per salvare gli uomini dal peccato e dai falsi culti per i falsi dei, forti tensioni comprese. Taoismo e bramanesimo esistevano prima dell’incarnazione del Figlio di Dio, esattamente come esisteva l’ebraismo, ed è proprio per questo che il Signore è venuto, è proprio da questi e da altri errori che il Signore è venuto a salvarci. Se i nostri missionari si recano ai quattro angoli del mondo per predicare il Vangelo mettendo in un canto i dogmi cristiani e per praticare anche solo in parte i falsi culti, c’è da chiedersi che ne è del cattolicesimo, che ne è della Chiesa di Cristo?



Com’è potuto accadere tutto questo?
Tutta colpa del Vaticano II! Non esattamente… le cose non sono così semplici. La colpa è degli uomini di Chiesa che hanno ceduto alle lusinghe del Padre della Menzogna. Che hanno fatto prevalere nei loro cuori e nei loro spiriti il culto e l’adorazione per l’uomo, il culto dell’amore fraterno per l’umanità, a prescindere dalla fratellanza in Cristo e dalla filiazione dal vero e unico Dio. Vero è che Dio è uno solo e quindi è il Dio di tutte le creature, ma è anche vero che non tutti si riconoscono in Lui e solo coloro che hanno ottenuto l’adozione a figli, i seguaci del Suo Figlio Unigenito Gesù Cristo, avranno acceso al Regno dei Cieli, tutti gli altri verranno gettati nella Gheenna, ove sarà pianto e stridore di denti. La colpa è degli uomini di Chiesa che hanno optato per il regno di questo mondo, e quindi per il Principe di questo mondo, ed hanno subordinato ad essi il Regno dei cieli e l’imperio di Cristo Re. La colpa è degli uomini di Chiesa che hanno celebrato il Vaticano II e che sulla base di esso hanno introdotto una religione diversa da quella dei nostri padri, convinti che il Signore misericordioso abbia parole di perdono per tutti indipendentemente dal loro pentimento e dalla loro conversione all’unico vero Dio. Il Signore è venuto per raccogliere ciò che è sparso e ricondurlo al Padre, non per mettere insieme tutti gli errori, è venuto per separare le pecore dai capri, non per mettere insieme peccatori pentiti e peccatori impenitenti. Quale fosse lo spirito anticattolico che animava questa comunità monastica in missione in terra musulmana è spiegato chiaramente e minuziosamente dal monaco superstite. Nel corso di questa intervista, alla domanda “Il film di Xavier Beauvois, ispirato al loro sacrificio, può essere un lievito di riconciliazione tra cristiani e musulmani?” Frate Jean-Pierre risponde: «Certamente! L’esempio dei confratelli, nel loro rapporto con la gente, con i musulmani, mostra che si può diventare veri fratelli, nella comunione, insieme, in profondità e non solo in superficie. In profondità, davanti a Dio. Alcuni l’hanno vissuto. Non è raro. Quando i cristiani lo vedono, si rendono conto che i musulmani sono persone come le altre. Alcuni sono molto buoni: i valori di accoglienza, di gentilezza, di compiacenza, si vedono. Così come i valori di unione con Dio, di preghiera quotidiana. Hanno rapporti con Dio che sono talvolta estremamente sorprendenti e che sono veri esempi per noi cristiani. Un amico di Christian, che ha dato la vita per lui, gli diceva: i cristiani non sanno pregare… Sono molto caritatevoli, molto servizievoli, ma non li vedi mai pregare! Molti cristiani lo potrebbero capire». In questa clamorosa confessione di ambivalenza tra la vera religione cattolica e la falsa religione islamica, c’è perfino il riconoscimento della superiorità dell’islam rispetto al cattolicesimo, superiorità che si riconosce fondata sulla sentimentalità del cattolicesimo moderno partorito dal Vaticano II. I cristiani sono caritatevoli e servizievoli, ma non sanno pregare, mentre i musulmani hanno rapporti con Dio estremamente sorprendenti. Ecco quadrato il cerchio. I cristiani afflitti da un malsano umanismo rimangono sorpresi dall’intensa preghiera che i musulmani rivolgono a Dio, ad un Dio ritagliato a loro misura. Da qui il bisogno di affratellarsi a loro, di vivere insieme l’adorazione di un Dio immaginario, un Dio supposto colpevolmente cieco, che affastellerebbe nel suo granaio indifferentemente il grano e l’oglio, la verità e l’errore, i giusti e i reprobi, i credenti e i miscredenti, i seguaci di Cristo e quelli dell’Anticristo.




È esattamente ciò che si legge nel testamento spirituale del defunto Priore, Padre Christian de Chergé (aperto la domenica di Pentecoste 26 maggio 1996).
«Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito». «Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze».

A parte la palese confusione che traspare da queste accorate parole, ciò che va notata è la totale conversione di un religioso cattolico alla moderna religione indifferentista, a ciò che si potrebbe chiamare la religione del nulla, dove non c’è possibilità d’esistenza per la “propaganda fide”, per la missione. Qui viene addebitata a Dio stesso la compiacenza per l’islam, tanto che ci si può chiedere quanto questo Priore fosse cattolico e quanto musulmano.
In ogni caso, un uomo che ha speso la sua vita inutilmente, poiché Dio si compiacerebbe ugualmente per i cattolici seguaci di Cristo e per i musulmani “illuminati [come tali] dalla Gloria di Cristo”.

Stupore? No!… Amarezza!
Perché, per quanto possa sembrare pesante la ripetizione, tutto questo ha un nome ed un cognome. Si chiama ecumenismo interreligioso, figlio del Vaticano II e dei papi che lo hanno applicato e praticato.



Ci chiediamo: se l’islam raccoglie gli adoratori del vero Dio, cosa diavolo vanno a fare i missionari cattolici in mezzo ai musulmani? Per quale incomprensibile deviazione mentale dei religiosi cattolici devono andare a morire in terra islamica?

Per portare la condivisione e cercare la comunione, non sono già sufficienti gli organismi internazionali, le società filantropiche e i promotori della libertà e del progresso?
Il Signore è morto sulla Croce non per abbracciare tutti gli uomini indistintamente, ma per ricondurre al Padre le pecore che si sono allontanate dal gregge.
Che i moderni uomini di Chiesa non ricordino più questa elementare verità non può essere un caso.
Che la Chiesa conciliare abbia finito col convincersi che il suo compito sia fare concorrenza alla filantropia umana, non può essere un incidente di percorso.
Qui è al lavoro il Principe di questo mondo, che è riuscito a introdursi nei palazzi vaticani convertendo un gran numero di chierici e pilotando abilmente vescovi, cardinali e papi.

Qui siamo al cospetto dell’abominio della desolazione che è entrato nel luogo santo: non un imprevedibile accadimento, ma un chiaro monito profetizzato fin nel Vecchio Testamento.
Sta scritto: “Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato” (Gv. 15, 22).
Preghiamo.
Che il Signore abbia pietà delle nostre anime
e salvi la Sua Chiesa dalle conseguenze delle colpe degli uomini di Chiesa.

4 commenti:

  1. Pensavo fossero martiri per Cristo...che tristezza...
    Patrizia

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  2. Non bisogna meravigliarsi più di nulla,Patrizia!Sono tempi in cui un soldato che muore semplicemente facendo il suo lavoro diventa "eroe", il cristiano che viene ucciso magari per suoi compromessi con i nemici diventa "martire" e via così, stravolgendo le parole e la gerarchia dei valori. Quanti martiri in Asia sono ricordati solo dal Signore e sono nella Sua visione, ma dimenticati dagli uomini!Quanti martiri coreani conosciamo per nome, noi europei vissuti satolli e sotto le ali di vescovi che non sono più pastori, perchè vissuti di eredità cristiana nei secoli? Quanti di quei martiri che hanno convinto il coreani a cristianizzarsi? Quanti martiri giapponesi conosciamo che furono torturati con cura per far loro rinnegare la fede e sono morti disperando di una pietà umana, confidando solo in Dio? Questi sono tempi in cui gli eretici vengono idealizzati. Ho letto alcuni giorni fa,per caso, su un sito pakistano cattolico,in inglese, le impressioni scritte nel 2008 su Shabaz Batti...C'è da rimanere ammutoliti ed indignati per la grande pubblicità mediatica fatta su un cristiano che non ha mai difeso le sue minoranze ma è sceso a compromessi vergognosi e traditori con i carnefici che poi ,forse, l'hanno pure messo a morte, ricco e con la famiglia salva in Europa. Mi dispiace riferire ciò, ma era il momento per avvertire dei sovvertimenti incorso ovunque, sulla verità.Che dire di mons. Padovese scannato dall'autista islamico che lui aveva al posto di un cristiano che avrebbe di certo rispettato un vescovo della sua religione? Eppure è diventato un "martire". Sono dei poveri personaggi buttati alla ribalta per dare esempi che purtroppo esempi non sono e per i quali bisognerebbe pregare tantissimo!

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  3. Caro amico, ormai non mi meraviglio più di nulla, ma quanta tristezza nel leggere certe cose...è una delusione continua e sembra che non ci sia più un argine al disastro. Pur sapendo che il peggio dovrà ancora arrivare, il cuore continua nonostante tutto a sperare in un cambiamento, in qualcosa di buono che possa incoraggiare, consolare, rinvigorire, ma ormai le buone notizie sono talmente rare che si stenta a credere possano ancora esserci.
    Rimane soltanto la preghiera e che Dio ci aiuti.
    Patrizia

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  4. Buonasera.
    Facciamo una scommessa? Fra 80 anni o giù di lì ci troviamo tutti in Paradiso: io, voi, il Buon Ladrone, i cristiani lassisti e ingannati dalla massoneria e quelli che invece tengono duro. allora vedremo che aveva ragione tra Gianluca Cruccas e Anna Rita Onofri oppure Christian de Chiergè, Shahbaz Bhatti e Luigi Padovese. Nel frattempo, il mio impegno sarà sempre per la comunione con gli altri battezzati, anche con quelli che riempiono il web di siti tipo ahsignoramiachetempichetempi.blogspot.it oppure ohimècontessanonc'èpiùreligione.blogspot.it(sarò troppo voltaireiano?). Più che altro perchè, fortunatamente, le scrivono sulla rete. Fortunatamente, la vita vera è da un'altra parte. A Tibhirine, a Islamabad, a Iskenderun.
    Ossequi

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