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venerdì 11 marzo 2011

Il Papa...


Il Papa
La vita della Chiesa è legata profondamente a colui che ne è il fondamento e che per primo ha il compito di trasmettere la fede: il Sommo Pontefice. Il ruolo del Papa è così importante che, secondo San Tommaso, il mistero di iniquità di cui parla San Paolo, facendo allusione alla venuta dell’anticristo, non si potrà manifestare finché vi è colui che lo trattiene1 e questa persona è la Chiesa cattolica con il suo capo, il Sovrano Pontefice2.
Oggi stiamo vivendo una crisi nella Chiesa senza precedenti. Dall’ultimo concilio gravi errori sono insegnati e diffusi provocando una perdita generale della fede, della pratica religiosa e allo stesso tempo una laicizzazione di quella che era un tempo la società cristiana, come per esempio in Italia. I fatti mostrano che questa crisi è profondamente legata ai pontefici che sono stati a capo della Chiesa in quest’ultimo periodo. Paolo VI fu il papa che concluse il concilio, favorendone l’ala progressista e realizzando così ciò che il cardinal Suenens chiamò l’89 (la Rivoluzione francese) nella Chiesa, con la liberà religiosa, la collegialità episcopale e l’ecumenismo. Fu lui che dichiarò: «Noi, pure più di ogni altro, Noi abbiamo il culto dell’uomo»3! Sotto il suo pontificato avvenne il drammatico cambiamento della liturgia che trasformò la Messa cattolica in un rito a sapore protestante, utilizzato dagli stessi pastori per celebrare la loro cena4.
Giovanni Paolo II impostò il suo pontificato nell’applicazione del concilio, alla luce dell’ecumenismo che culminò con la riunione di tutti i rappresentanti delle religioni ad Assisi, il 30 ottobre 1986. Nella stessa linea si situa il pontificato di Benedetto XVI. Dopo le differenti visite inter-religiose, come quella alla Moschea Blu di Costantinopoli, dove lo si è visto scalzo e in preghiera, oppure quella alla sinagoga di Roma ove ha affermato che non si può essere contrari alla religione giudaica poiché preghiamo lo stesso Dio e l’Antica Alleanza è ancora in vigore, vuole adesso beatificare Giovanni Paolo II e commemorare il 25° anniversario della giornata di incontro delle religioni ad Assisi, il prossimo ottobre. Di fronte a questa crisi profonda quale deve essere l’attitudine di un cattolico che vuol conservare la fede, salvare la propria anima e lottare per la Chiesa?
Alcuni, considerando i gravi errori contro la fede insegnati in maniera esplicita o tramite le loro attitudini da tali pontefici giungono ad affermare che essi non possono identificarsi con il vicario di Cristo. Un pontefice che non agisce abitualmente per il bene della Chiesa compiendo la sua funzione primordiale di trasmettere e conservare la fede non può essere il Vicario di Cristo. Secondo questa teoria da anni la Chiesa sarebbe priva di capo visibile e di qualunque autorità poiché pontefici, cardinali e vescovi avrebbero tutti perso la fede.
Questo modo di pensare, soprattutto quando è imposto come un nuovo dogma di fede, invece di risolverli pone problemi teologici insormontabili, in particolare sulla struttura soprannaturale e divina della Chiesa che non potrà mai venire meno poiché beneficiaria della promessa del Salvatore: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”5. Ora il potere di giurisdizione, cioè di governo, è  parte costitutiva della Chiesa ed essa non potrà mai esserne privata in maniera totale. Un’altra attitudine è quella che adottano cattolici formati alla dottrina tradizionale che, anche di fronte ad atti e dichiarazioni evidentemente in contrasto con la fede, non si permettono mai di rilevarne la contraddizione, ma tacciono oppure cercano di giustificare a tutti i costi le affermazioni del Papa. Questo per rispetto a ciò che egli rappresenta, per paura di far torto alla sua persona, alla Chiesa o per una falsa comprensione di ciò che è l’infallibilità pontificia.
Un tale modo di agire è altrettanto pericoloso poiché, soprattutto se si ha una responsabilità di insegnamento, è doveroso mettere in guardia i fedeli contro gli errori che possono minacciare la fede, in particolare quando essi sono maggiormente nocivi poiché predicati da coloro che hanno autorità e missione di insegnare la verità. La vera attitudine cattolica, che ci è insegnata da tutta la Tradizione, è quella di conservare il rispetto per l’autorità, ma allo stesso tempo, per dovere di giustizia verso i fedeli e di carità nei confronti di colui che erra, anche se è un superiore, denunciare tutto ciò che è in contrasto con la fede definita e insegnata costantemente. Questo, e non la difesa di opinioni personali, è il criterio oggettivo a cui ogni cattolico deve conformare la propria vita. San Vincenzo di Lerino  lo riassumeva dicendo che dobbiamo credere fermamente e conformarci a ciò che è sempre stato creduto dovunque e da tutti  “Quod sempre, quod ubique quod ab omnibus”6.
La storia della Chiesa poi ci presente molti casi in cui un inferiore si oppone al superiore in virtù della fede, persino se si tratta del pontefice, pur riconoscendone l’autorità. San Paolo si permette di riprendere pubblicamente San Pietro che per un comportamento ambiguo rischiava di rimettere in questione l’insegnamento del Concilio di Gerusalemme sulla salvezza dei pagani. «Mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto»7.
San Tommaso giustifica la sua attitudine con queste parole: «Se vi fosse pericolo per la fede, i superiori dovrebbero essere ripresi dagli inferiori, anche in pubblico. Così Paolo, che era sottomesso a Pietro, lo riprese per questo motivo»8.
In un altro passaggio, parlando dell’obbedienza, San Tommaso afferma che: «È detto negli Atti (6, 29): "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". Talvolta gli ordini dei superiori sono contrari a quelli di Dio, dunque non bisogna obbedire loro in tutto»9. Il Papa Vigilio fu richiamato all’ordine dal diacono Pelagio (VI sec.) a proposito del monotelismo; Bonifacio IV da San Colombano (VII sec); Onorio da San Sofronio di Gerusalemme (VII sec); e vi sono anche gli esempi di San Bruno (contro il Papa Pasquale II), di San Tommaso Becket (contro il Papa Alessandro III), di Santa Caterina da Siena (contro i Papi Gregorio XI e Urbano VI)10. Il  vero amore per l’autorità, quando essa devia dalla dottrina rivelata, è proprio la pubblica protesta, poiché in questi casi il silenzio diventa compiacente e non soltanto non contribuisce ad un ritorno alla Tradizione, ma conferma e appoggia nell’errore colui che lo professa.
Il voler tutto giustificare non è né un atto di giustizia nei confronti della verità rivelata, che non appartiene al Sommo Pontefice ma che egli deve trasmettere intatta; né un atto di carità perché, se la fede non è insegnata o peggio è contraddetta nei fatti da chi ha il dovere di predicarla, le anime sono scandalizzate e si perdono. La buona teologia permette di distinguere nel Pontefice, l’uomo, il dottore privato, o anche il Pontefice nel suo magistero chiamato semplicemente autentico, dal Vicario di Cristo che insegna nella pienezza della sua autorità per definire una verità di fede o di morale. Ciò permette di capire come l’insegnamento o il comportamento di colui che dovrebbe confermare nella fede, possa essere a volte vacillante o addirittura in contrasto con la fede11.
Il Concilio Vaticano I, indicando le condizioni nelle quali il Sommo Pontefice beneficia del carisma dell’infallibilità, lascia aperta la possibilità che al di fuori di questa assistenza divina, vi sia la possibilità dell’errore. Al momento della pubblicazione del suo Gesù di Nazareth, Benedetto XVI aveva scritto nella prefazione: «Ognuno è libero di contraddirmi». L’ultimo suo libro, Luce del Mondo, è un’ intervista e  non attiene al Magistero. Del resto, egli stesso afferma che: «Naturalmente il Papa può avere delle opinioni private errate».
Il problema teologico dell’infallibilità è legato alla persona del pontefice e in particolare alla sua volontà. Egli può beneficiare di tale carisma quando vuole definire una dottrina intorno alla fede o alla morale, da tenersi  in tutta la Chiesa12. I principi del liberalismo che sfociano nel modernismo portano a credere che non vi è una verità oggettiva. Quando un pontefice fonda la sua teologia su una filosofia idealista ed è influenzato dalle tesi moderniste sull’evoluzione del dogma, come può voler veramente definire in maniera irrevocabile una verità, che nel suo intimo pensa essere mutevole? Mons. Lefebvre, dopo uno dei suoi viaggi a Roma, sottolineando questo aspetto, ci diceva che il Papa stesso non crede alla sua infallibilità.
Anche nella situazione attuale dobbiamo avere una fede profonda nella divinità della Chiesa, malgrado la sua umanità che si manifesta in maniera impressionante, nella persona dei pontefici che la hanno diretta dall’ultimo concilio. La rinascita della Chiesa verrà da Roma e dal Papa. Per questo il primo pensiero di ogni cattolico che ama la Tradizione deve essere oggi la preghiera per il Vicario di Cristo, perché possa di nuovo “confermare i fratelli” come disse Gesù a San Pietro dopo avergli profetizzato il suo triplice rinnegamento13. Ma per questo ritorno e più che mai è imperativo denunciare pubblicamente tutto ciò che, pur venendo da Roma e dal Papa si oppone alla fede che neppure il Sommo Pontefice potrà mai cambiare.
Don Pierpaolo Maria Petrucci

2 commenti:

  1. Qualcuno ha letto il libro di Socci "I segreti di karol Woityla"?
    Può dirci qualcosa?

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  2. Bella analisi di p.P.P.Petrucci ! Necessariamente triste ma ricca di spunti di umiltà e di fede.

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